Un silenzio assordante irrompe nella stanza delle ombre che urlano. Un silenzio sordo che non ricordavo. Vivo in un letto da anni, forse da un giorno, non lo ricordo. Vivo qui dentro, in equilibrio. Sulla sottile freccia di luce sparata negli occhi che penetra dal buco della serratura. Nella stanza dei mostri i pensieri sedati da pillole bianche che ingoio ogni giorno con piacere fremente. Nella stanza dei mostri i pensieri sedati da pillole bianche che ingoio ogni giorno impaziente. Nella stanza dei mostri distorta visione d’informe realtà che di me ricorda sorrisi che io non ricordo. Vivo in un letto. Arti deformi che un lenzuolo riveste. Braccia pesanti cadono ai lati del mio giaciglio disegnando una strana simmetria con le ginocchia piegate. Al centro del tutto, nella stanza dei mostri un enorme orologio dal quadrante bianco in cerchio si muove, sbiadito, sorride. Mi mostra un tempo che non seguo da tempo, che non credo sia il mio. Qualcuno deve averlo manomesso. Il tempo. Qualcuno vuol farmi credere che è notte, mentre fuori è giorno. Lo vedo dalla luce che filtra dal buco della serratura. Lo sento da quel poco di forza che nelle braccia ancora scorre. Non mangio da giorni. Vivo in un letto. Scatole vuote di benzodiazepine fantastiche cadute sul pavimento. Le amo. Le adoro. Ho aumentato il dosaggio perché uccidessero di più. Perché salvassero di più. Nella stanza dei mostri. Un nodo sul cuore. Distorta visione d’informe realtà che di me ricorda sorrisi che io non ricordo. Taccio ed osservo fameliche ombre ridenti allungandosi sul muro. Sciogli questo nodo nel cuore. Scioglilo.

Allungo la mano non trovo. Non trovo la birra. Allungo la mano nell’abisso della stanza e non trovo, non trovo la birra. Voglio ambra da bere. Sul letto mi annodo. Ho coniati di vomito. Vorrei buttar fuori il dolore che mi contorce. Altre Benzo vi prego. Datemi altre Benzo.

Nella stanza dei mostri pareti dipinte di buio mi guardano con occhi abissali. Nella stanza dei mostri pareti dipinte di buio mi sputano addosso violenti sogghigni. Le osservo, non hanno la faccia. Le ombre abissali dei muri non hanno, non hanno la faccia. Eppure mi guardano beffarde e sorridono. Eppure mi guardano e parlano. Eppure mi osservano. Mi uccidono. Ogni tanto si allungano e mordono. Mi svegliano. Nella stanza dei mostri, oggetto di scherno e motteggio che giace su un letto stordito e sedato da pillole bianche che ingoio ogni giorno impaziente. Al centro del limbo m’infliggono colpi di frusta. La mammana cammina lunga ed appena accennata nel corridoio rasenta la porta. La sento. La temo. Vedo interrompersi la freccia di luce che dal buco trafigge la densità del buio che impregna la stanza. Al suo arrivo le ombre si ritirano urlando. Al suo avvicinarsi l’orologio si squaglia sul muro come fosse di cera. Al suo passo ritmato la stanza dei mostri si svuota di ogni presenza. Al suo passo da bestia in calore nascondo il mio scheletro sotto il lenzuolo bianco. Aspetto che entri. Ma non lo farà. Vuol solo sentire il silenzio. Vuol solo sapere se dormo. Attendo che lasci. Attendo che passi. Mi sento tremare. Quando la stanza dei mostri ritorna ad uccidere. Le ombre ad urlare fameliche voci di rabbia che vogliono mangiare pezzi di me anestetizzati. Sul letto deforme. Il materasso di molle m’inghiotte lentamente m’ingloba, m’assorbe. Il materasso di molle mi mangia. Ha sempre fame. Il quadrante circolare che segna le ore truccate riprende a danzare. Tic. Tac. Tic. Tac. Non seguo le ore. Non credo all’inganno del tempo. Non seguo le ore. Vogliono farmi credere che fuori sia notte. Mentre fuori è giorno. Vedo filtrare la luce, freccia che irrompe violenta nella stanza gravida di ombra affamata di spazio da riempire. Muri danzanti mi guardano e fra di loro cospirano. Studiano come uccidermi. Ho paura. Ho paura. Ho paura. Voglio altre Benzo.

Non avevo mai notato prima d’ora la lontananza del mondo che ora sento gridare. Non avevo mai percepito la distanza che mi separa dagli alberi, dal vento. Sento il mondo fuori lontano gridare. Sento il mondo piangermi. E gli occhi bruciano. Non ricordavo. Non ricordavo esistessero lacrime. Sta calando la notte… Un sipario incantevole. La mammana entra in camera ed irrompe nel buio una luce accecante che ai miei occhi si piega, distorta visione del suo lucente contorno. Tiene in mano un cucchiaio che mi ficca in bocca con forza urtando nei denti ed ingoio in un sorso viscido sciroppo dolciastro che scivola in gola, non so cosa sia. Non chiedo. Non mi è dato parlare. Non ricordo se ho mai parlato. Non ricordo l’ultima volta che ho parlato. Non ricordo se ho mai imparato a parlare. La mammana esce chiudendo con chiave due giri e poi il niente mi avvolge di nuovo, sollievo ai miei occhi feriti, sollievo ai miei occhi feriti di luce acida e brillante che sanguinano limatura di vetro. I suoi passi rimbombano nello stretto corridoio che immagino esistere ma non ricordo di avere mai visto. Non lo so se esisto. Non lo so se esiste una casa oltre a questa stanza di cui non percepisco dimensione e forma alcuna. Solo pareti fantasma intravedo alle quali ho dato il nome dei punti cardinali. La freccia di luce che irrompe dalla serratura illumina il nord. Secondo uno schema angolare dovrei vergere ad ovest. Guardo l’est. Dove vive l’orologio del muro. Circolare quadrante bianco e deforme segna ore che io non comprendo. Sono certo non siano le mie. Sento gli occhi pesanti. Sento le ombre del sud lamentarsi allungando la mano accarezzano. Strappandomi lembi di pelle mi mangiano senza che io senta dolore. Mi lascio fare. Non ho scelta alcuna. Sento gli occhi pesanti. Le braccia ormai prive di forza non c’è lotta che tengano. Sono sottile scheletro che giace su un letto da anni, da un giorno, da tempi che io non ricordo. Con le ossa annerite di fumo. Nella stanza dei mostri distorta visione d’informe realtà che di me ricorda sorrisi che io non ricordo. Voglio uscire da qui. Voglio uscire.

Nella stanza dei mostri non filtra più luce ora solo silenzio riveste la pelle. Ho davanti l’eterna visione di ombre che sbranano lembi di carne. Le sento ridere di me. Le sento ridere. Adesso ricordo che è stata una gabbia a portarmi qui, è stata una gabbia. Porto ancora i segni sul viso di quando sbattendomi ho provato ad uscire. Ho sbattuto la faccia contro sbarre d’acciaio affilate. Contro sbarre d’acciaio affilate. Voglio uscire da qui. Voglio uscire. Escono mani dal pavimento, mani da sotto il letto mi toccano, mi trattengono. Nella stanza dei mostri c’è un grido che urla se stesso. Nella stanza dei mostri c’è un grido affilato che mangia, che mangia se stesso. Sono immobile e osservo la mia esecuzione. Si avvicinano ombre beffarde che ridono danzando a mezz’aria sul letto. Ci sono mani che mi toccano. Ci sono bocche che non parlano. Ci sono mani che mi uccidono. Mi lascio fare. C’è un vuoto assordante, un vuoto assordante che soffoca. C’è un silenzio, un silenzio abissale che parla. Questo è il buio profondo. Nella stanza dei mostri distorta visione d’informe realtà che di me ricorda sorrisi. Che Io. Non Ricordo. Questo è il buio profondo.

.Nella Stanza Dei Mostri.