Quello che sono ha il mio nome.

Mese: Luglio 2006

[Luna]

Luna, del cielo padrona,
sovrana, regina.
Nell’aria puttana.
Si librano. Strati di me.
In vapore condensano. Si nutrono.
Bestie in calore. Le ansie. I dolori.

La quiete che bramo.
Scintilla. Di notte. S’incendia.
La smania. Che il sonno m’inghiotte.
Divora. Ruggisce. Un’alba che avanza.
Infuriata. Rovente. Feroce.

Cantano. Gli uccelli sui rami.
Bastardi. Rovina. Un eco lontano.
Dolce Riposo.
Che il giorno mi nega.

[Sui Viali del Mattino]

Vagando su sentieri di stelle. Senza più casa. Senza più nome. Perso nel viali della notte mi imbatto in ombre che in pasto mi chiedono. Pezzetti di me. Lembi di carne che concedo in prestito senza chiedere in cambio nient’altro che anonimo veleno da iniettarmi nel cuore. Mi piace morire così. Senza guardarmi allo specchio. Percependo un me stesso deforme e stordito quel tanto che basta a sentirmi vivo. Scendo da un’auto. Qualcuno mi parla e non sento. Non sento. Non comprendo quello che dice. Concetti astratti intrecciati a una logica complessa che non ho voglia di interpretare a comando. Violenza che io non ho chiesto. Parla di sogni mai raggiunti e di speranze andate a male. E una fottuta rabbia camuffata con parole dolce zucchero che rivestono il marcio dentro al nocciolo. Chiede in pasto pezzi della mia carne che non trattiene più certi brividi. Che concedo virtuoso. Perso nei viali della notte l’asfalto sbatte contro la mia faccia. La bottiglia al suolo si frantuma in mille pezzi. Vedo ondeggiare tutto. Il mondo davanti ai miei occhi ha questo dannato vizio di ondeggiare. Di non lasciarsi mettere a fuoco con chiarezza. Qualcuno mi raccoglie e mi chiude dentro un’altra auto. Sembra un incubo. Un incastro di trappole. Dalle quali non voglio uscire. Mi piace morire così. Lecco il dolore dalle mie labbra sanguinanti. Piccole ferite che salvano. Scendo dall’auto e saluto gentile leccandomi il dolore dalle labbra, la saliva di un amore consumato come sale disseccato sulla pelle mia di ruggine. Grido con dolore sorvolando sui viali della notte cerco amore da cucire sulle labbra mie di sale. Il cielo non è mai stato così piccolo. One foot in front of the other.

(C’è stato un attimo in cui ci ho creduto. C’è stato un attimo in cui lo avrei fatto. C’è stato un attimo in cui ti avrei baciato se solo avessi spinto la tua faccia un po’ di più verso la mia. C’è stato un attimo. Soltanto un attimo. Soltanto un attimo che non ritornerà. E ora che lo sai non ci provare. Ti direi di no.)

Mi volto e c’è il tizio con la cicatrice, quello col nome strano, si abbassa e mi spinge si inarca in avanti e respira e mi scivola dentro cercando in me qualcosa (simile ad un’emozione) che lo renda vivo e poi lo uccida di colpo. La gente ama morire così. Piccole ferite che salvano. Ed io certe notti sono come un serpente che cambia pelle ed uccide a comando e poi salva chiunque. Giro in tondo sempre. La notte ha la forma di un cerchio. Si ripassa sempre dal via. Correre sempre dietro alla vita a velocità supersoniche senza riuscire ad afferrarla mai. La notte ha la forma di un cerchio. Si ripassa sempre dal via. E poi mi sorprende accucciato sul sedile di un’auto sconosciuta a inalarmi anche l’anima. Amo morire così. Piccole ferite che salvano. Viale Europa si estende parallelo al mare. Pieno di luci e colore. Affollato di fantasmi. Di mendicanti a passeggio in cerca di fortuna. Froci e aspiranti glamstar. Faghags all’opera. Ammirano scattando foto. Alle scimmie da circo. Anfetamine in concerto nella mente. Dolce e Gabbana ovunque. Anche l’aria è griffata. Mille euro di vestiti addosso e una vita tanto misera da far rabbrividire. Welcome to my world.

Gay_Lesbian_Bisex_Transgenderism. Io transatlantico. Naufrago disperso fra sguardi che non vedo dalle pozze dei miei occhi. Ho messo lenti colorate per non vedere ciò che è evidente. La notte è un cerchio che gira e ci si ritrova sempre al punto di partenza. Sempre pronti a perderci. E a ritrovarsi. In questo quadro che incanta. Come un miracolo trafitto di stelle. Sulle strade del niente infinito che ognuno insegue. Mi volto e c’è un tizio impegnato in una fellatio tridimensionale. Mi invita a seguirlo. Devo uscire da qui. Un incastro di trappole. Perso nei viali della notte frugo nelle tasche e cerco l’accendino. La sfida è sfuggire all’alba. Quella coi denti che inghiotte. Quella che non perdona. Nessuno vuol vedersi in faccia alla fine di un sogno. Mi piace morire così. Senza guardarmi allo specchio. Percependo un me stesso deforme e stordito quel tanto che basta a sentirmi vivo. Piccole ferite che salvano. Prima di uccidere.

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