Quello che sono ha il mio nome.

Mese: Febbraio 2010

[Impalpabile]

Nessuna traccia di me. Nessuna traccia di me nell’oltre delle tue parole e del tuo fiato. Della silente calma che ancora divide. Che mai unisce. E sempre spara colpi di fucile a canne rovesciate, verso se stessi. Segni degli anni che intercorrono. Fieri e giusti. Scolpiti. Distrutti. Mai sbagliati. Niente mi sfiora. Tranne la pelle. Nulla mi annulla. Tranne il mio cuore. Una perfetta illusione. Niente mi spinge al di là della coltre del mio silenzio, sulla tua bocca. Pietrificata convinzione. Colla secca sopra labbra mute. Corro, oltrepassandomi. Sorvolandomi. Superandomi. Sorpassandomi allungo le braccia verso l’aria impalpabile che addosso mi scivola. Scivolo. Dentro. Resto fermo. Annaspo e scrivo e cancello. Creo e disfaccio. Unisco e strappo. Dimentico. Ricordo. Dimentico. Rido e piango. Tutto il dolore e rido. Sopra al dolore rido. Io di dolore rido, calmo e denso. Da te nulla di me dipende. Non devo dirti grazie. Eppure voglio farlo. Non trova spazio in me il silenzio. Son fatto di grida e rumore e vivo e poi torno a riprendermi dove mi perdo. Non mi abbandono mai. Il tuo nome legato a una pietra e affondato. Perso in derive lontane e abissali maree. Forse mai ritrovato. Nessuna traccia di me nell’attesa del niente. Nella tua gabbia ti ho visto agitare le braccia e cercare l’uscita. Mentre fuori l’erba esplodeva nei campi dal sole inondati. Mentre tu della vita perdevi ogni fremito. Quel canto sottile. Quando sottile silenzio gridava più forte di mille parole. Ma tu non sentivi. Quando chiamavo. Tu non sentivi. Quanto gridassi. Ma è l’istante che conta. Ogni istante contato a misurare l’attesa. Un’unità di misura per te inconcepibile. Un vuoto incolmabile. Che mai mente potrebbe comprendere. Io sono strada che tu non potresti percorrere.

[Vertigine]

Odio, questo senso di struggimento nel quale tremo. Toccare il cielo con un dito e poi cadere giù, nella vertigine. Pensare che mi basterebbe solo muovere la mano, comporre un numero. Ti prego fermami.

[Kevin]

Il mio letto di nuovo disfatto lo specchio riflette lenzuola di un nero pregiato. Manchi da un’ora e quaranta minuti eppure il sapore rimane. Sai di dolce d’amaro e di cose sbagliate per questo mi piaci. Ma sei solo il ripetersi di un karma sbagliato che ormai conosco a memoria. M’inventerò scuse, allungherò gli attimi, prima di dirti non posso restare. Alle due e trentasette minuti di nuovo il mio vuoto m’invade. Mentre il sapore che ho ancora di te sulla pelle nel sogno mi uccide. Ho sentito il tuo strappo quando ti ho detto è sbagliato, non possiamo continuare. Mentre tu mi chiedevi se la luna si fosse spostata indicandola dal finestrino.

[Verba Volant]

Forse potrai ‘scappare’ da me, ma non scapperai da te stesso. Il proprio sentire conosce di noi il più celato rifugio. Nemmeno il più spesso dei muri ti proteggerà. Il peso della tua vuota plastica ti ha già sopraffatto da tempo. Il tuo nome ho lasciato in campi infertili e secchi a marcire. Sarà il vento a spazzarlo via.

A chi ha la presunzione di credersi mio nemico,
io dono l’illusione della vittoria.

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