Quello che sono ha il mio nome.

Mese: Gennaio 2007

[Anoxia]

Ingannevole è il cuore più di ogni cosa e disperatamente malvagio?

(Geremia 17:9)

Sono qui. Esattamente dove mi hai lasciato. Ti basterebbe guardare di più. Più avanti e più a fondo. Questi giorni corrono come spari col silenziatore. Come respiri senza contrazioni. Tutto accade in silenzio. Senti solo il botto finale ed il suo contraccolpo. Quando ti svegli la domenica mattina senza capire dove sei. Che cosa è successo. Che fine hai fatto. Sono qui dicevo. Esattamente dove mi hai lasciato. Arruffato nelle lenzuola. Col mio vuoto in testa. Ripensando ai baci e alla fugace intensità di qualche istante. E se questa è la nostra ninna nanna allora perché non riesco a dormire?

Ora il mio cuore è sospeso su un mucchio di sassi, su un eremo lontano. Almeno lui è al sicuro. Di questi tempi gente entra ed esce dalla mia vita con rapidità disarmante. E non sempre è colpa loro. Vado innalzando barriere sempre più alte fra me stesso e gli altri. Non mi sento mai troppo al sicuro oltre questo muro. Ho la tendenza emotiva ad attaccarmi troppo a chiunque mi faccia un sorriso. Ma so che è sbagliato. A volte mi faccio tenerezza da solo. Allora ripiego sull’indifferenza e il cuore diventa gelido come l’inverno. Meccanismi di autodifesa di non facile interpretazione.

Mi capita di pensarti spesso. Ma non lo saprai mai. Ma credimi è meglio così. Stare con me è pura follia. Ed io sono un folle. Potresti impararlo a tue spese.

Cammino sull’orlo di queste notti che non vedono sentieri tracciati nell’erba alta di maggio, riscopro leggera indifferenza nel comprendere che ancora la mia fama mi precede ovunque io muova i miei passi. La gente non dimentica. Sono ancora quello volevano io fossi e sempre sarò, quello che vogliono io sia.

Adesso non sono l’inverno che ero. Adesso non porto la faccia che avevo. E se vuoi continuare a vedermi com’ero è solo un tuo problema. Non me ne fotte un cazzo.

Anossia.

A volte guardo altrove e devo andare oltre. È difficile sai essere qui ed essere altrove. Bolle di fumo in notti di pietra. Nomi di fumo su bocche d’ambrosia. Assenza di vento. Ogni cosa giace immobile intorno (solo gli occhi rimangono aperti). Sguardi di polvere che non vedono niente. Un corpo che suda. Questo caldo discioglie frammenti di me che ho lasciato da parte. Resto fermo a guardare. Copro gli occhi e mi vesto di lacci ma senza l’impegno di un tempo. Di nuovi colori risalto. Peccato tu non possa vederli. Resto immobile e ascolto. Ingannevole il cuore al di sopra di tutto e disperatamente malvagio. In questo circo di maschere in cui si esibiscono equilibristi d’ogni sorta. Io. Resto solo a guardare.

Forse sono quello che non so di essere. Le ali socchiuse e un po’ timide ai lati. Lo sguardo un po’ triste. Il tocco un po’ incerto. Il sorriso che sboccia e contagia di colpo. L’affetto sincero che il cuore mi dona. Quest’età senza tempo che porto negli occhi. L’eterno bambino che sono. Uno spettro diurno. Mi nascondo dietro quello che non hai mai visto. I capelli sugli occhi. Senza trucco stavolta. Il mio modo per dirti ci sono. Resto fermo a guardare. Sono quello che non so di essere. Questo sguardo incazzato. Un pulcino arrabbiato. La lenta cadenza dei suoni che emetto. I miei sbalzi d’umore. Sono l’ansia che sento. Questo tutto che l’anima sente da sempre e per sempre ricorda. La visione che avvolgo di braccia un po’ ingorde. La movenza dei passi. I pindarici voli in cui cado in picchiata. La fuga, l’arresa. La presa forte del braccio. Questo cuore versatile che scrive d’inchiostro. Sconnessa poesia sulla bocca e negli occhi. Forse è questo che sono. Un pirata dei tempi. Un templare del sogno. Le vene rigonfie che porto sul braccio. Le ali mie dono e condanna. L’offesa che schivo. La paura che vivo e l’ombra che scuoto. Sono il mare che ho dentro. Un autunno di foglie che volano. Una freccia scagliata al contrario del vento.

Anossia.

[Spine]

Inchiodato sul muro ad ascoltare silenzi che scivolano lenti sul cuore. Ogni tremore attraversarti la pelle. Ti cadi addosso. Non senti più il polso. Nebbia fuori e negli occhi. Questo inverno che non sento eppure esiste dentro me. Scuote. Colpisce. Danneggia. Membrana di un cuore ora troppo sottile. Vetro. Quasi rimpiango l’antica solidità di quando era piombo. Solido. E malleabile. Quando al primo freddo era pietra. Ed al primo sole era cera. Cammino. In quest’inverno di foglie invisibili. Non ho scorto un singolo particolare che ne disegni il contorno. Non una foglia. Non un alito di vento. Non ho visto niente là fuori. Ne al di là di quegli occhi. Nessuna luce oltre gli sguardi. Sento solo freddo. E’ come se fosse già dentro. Resto immobile e affondo. Metto radici come un albero. Aspetto che scivoli. Sui rami sintetici. Vorrei spruzzarmi addosso un po’ di quella neve artificiale. C’è quest’inverno che non mi assomiglia. Questo volto in cui non mi vedo. Ricordi quant’era piccolo l’oceano quella notte? Riesco a vederci oltre quel vetro. Lascio entrare in me parti di cielo. Attingo dal tuo nome la forza che mi manca. Ti respiro. Ti vivo. E’ come se tu fossi qui. Divento immenso. Mi allargo. Ti avvolgo. Mi entri dentro. In me ti faccio spazio. Mi si allargano le vene. Quando mi dici che ti senti orgoglioso di noi. Non c’è confine. Non c’è distanza. C’è tutto, non manca niente. Ed ogni giorno che passa il cuore si fa grande. E’ pieno di frammenti, particolari. Ogni gesto un modo per dirmi grazie. Ogni parola. Ogni silenzio. Ogni piccolo frammento. Non potendo immortalarci l’anima catturiamo di noi ogni dettaglio. Ce lo doniamo. Mi sto impegnando per diventare pietra e colpire. Sto costruendo quella solidità che serve per scalfire. Far male. Sferrare. Colpi micidiali. Lottare. In tuo nome. Tornare. A quella parte di me che ho perduto.

C’è un gennaio di pioggia che scivola freddo sulla curva della mia schiena. Tagliente. C’è una luna un po’ incerta e offuscata. Distorta. A guardarmi oltre al vetro di questa finestra. Puttana. Che ride. Appesa. Aperta. Bagnata. Assassina. C’è una vita ad esplodermi dentro in un pasto che ancora non ho consumato. Per noia. Non mangio. Mi odio. Mi lascio morire. Lo schifo che provo. C’è una foto e un quaderno sgualcito sul bordo del tavolo in legno. Ampie stanze e respiro. Finalmente respiro. Per un attimo volo. Attimi dopo poi scivolo. Le tue dita a raccogliermi. Nella mente visione di te che nel tempo poi ho reso immortale. Che c’è rimasto da dire? La bellezza degli occhi. Piccoli e scuri sulla pelle dorata. Due opere d’arte. Che nel tempo poi ho reso immortali.

Sono mesi ormai che lo osservo. Sembrano secoli. Lo guardo. Lo imploro di scendere. Lo impreco. Lo prego. Nessuna reazione. Lo odio. Quel Cristo che sanguina appeso davanti al mio letto. Sul suo crocefisso. In terracotta dipinto. Per ore lo guardo. Per ore lo odio. Gli parlo. Gli chiedo. Lo provoco. Nessuna reazione. Ha il capo appoggiato alla spalla destra. Ha le stigmate. Ed il corpo deforme. Deve averlo modellato mio zio quando io ero bambino. E’ terribile. Un’offesa per l’arte. Non c’è il minimo impegno. Vi si legge la morte. La ricerca del niente. Non ha il collo. Un bernoccolo in mezzo alla fronte. Un bicipite al posto del gomito. Non ho mai visto un  Cristo così deforme.  Oblungo e distorto. Col sangue che scivola. Senz’occhi. Le braccia al rovescio. Le costole solcate nel tronco. Lo odio. Mi sorprendo a emularlo. Io sul letto davanti. Proiezione di un Cristo. Con le braccia allungate. La testa a ridosso del destro. Ho le stigmate. Deforme e distorto. Gli faccio mille domande. Nessuna reazione. Fa che accada qualcosa. Fa che accada. Dimmi solo che è un sogno. Che tu esisti davvero. Dimmi almeno che non è finita. Brutto stronzo del cazzo. Avrei voglia di romperti. Frantumarti per terra. Nel silenzio distruggerti. Non sopporto il silenzio. Non lo voglio il silenzio. E’ violenza che io non ho chiesto. Dove sono tutti. Che fine ha fatto il mondo. Dove sei tu. Non lo voglio più il dubbio. Se ci penso mi incazzo. Sento prudermi addosso. Corrosivo silenzio. Chiudo gli occhi e affondo. Guardo l’orologio. E’ la nostra ora. Mi starai pensando? Chiudo gli occhi e affondo. Dimmi solo che è un attimo.

Di luce. Nell’aria. Frammenti. Collidono. Reciso. Un fiore. Tagliato. Nel gambo. Le dita. Di spine. Son d’aria i frammenti di luce che ingoio pensando al tuo nome su labbra. Reciso. Nel gambo. Un fiore. Le dita. Di spine. Il sangue. E’ dolce. Il miele del male. Che unisce. Divide. Racchiude. Conserva. Sigilla. Promesse d’amore. Flagello. D’un nome. Suggello sul cuore. Trafitto quel cuore. Stordito quel cuore. Di luce. Negli occhi. Frammenti di vetro. Feriscono. Osservo. Nel vetro. E’ china nell’acqua. Una macchia. D’orgoglio nel sangue che lavo. Separando ogni goccia. Non posso dividere. L’amare dal credere. Non voglio dividerti. Scindere. Tagliarti in due parti. Sei parte integrante di un tutto che adesso completa. Eppure il suo opposto. La parte incompleta di un nulla che adesso mi svuota. Eppure il suo opposto. Non posso dividerti. Non voglio effettuare nessuna scissione. L’amarti dal crederti. Il bene dal male. Sei parte integrante di un tutto che adesso completa. Eppure il suo opposto. La parte più vuota di un niente che adesso mi svuota. Mi scinde. Mi piega. Mi asciuga. Mi priva del senno.

Cammino. Vedo tutto. Una chiarezza perfetta e accecante. Ho questi occhi che seguono ogni altrui movimento. Conto i passi. Leggo insegne. Volantini. Vedo tutto nell’avanzamento veloce di un nastro. So già il dopo. Il prima. Le pause. Fra un respiro e un abbraccio. Fra un momento e il silenzio. Fra uno squillo e un’attesa. Fra ogni muro e ogni casa.

Lascio il braccio cadere sul fianco ed allento le dita. Disciolgo la presa. Faccio spazio fra le fessure immaginando altre dita. Le tue. Che si infilano. Sento il palmo. La presa. La tua mano. Sembra un attimo. In cui il tempo e lo spazio collidono. Convergono. Implodono. Nel mio cosmo di sguardi e fessure nell’aria. T’immagino. Esistere. Accanto a me. Non c’è spazio dove tu non esista.

E’ dolce. Il miele del male. Che unisce. Divide. Racchiude. Conserva. Sigilla. Promesse d’amore. Flagello d’un nome. Che vado vibrando. Su labbra. Sigillo sul cuore. Stordito quel cuore. Di luce negli occhi. Frammenti di vetro. Che ingoio. E poi vivo. Senza metrica misuro ogni brivido. Senza logica. Sublime. Idealmente avvolgerti nel contorno del corpo. Farti mio. Mentalmente ripeterti. Sarai qui con me. Il tuo nome è un mantra che mentalmente ripeto dal mattino alla sera. Mentre dormo lo decanto alla notte. Sacralità che proclamo mentre cerco il divino. Preghiera. Avvolgo. Cuscini. Intreccio. Destini. Che immagino fondersi. Rievocati sapori. Inattesi ritorni. Lo stesso cuscino. Lo stesso tepore. Lo stesso torpore. Di mani. Tremore. Ho freddo. Mi manchi. Ritorna al mio cuore. Frammento. Di luce. Nell’aria. Respiro. Vacuità di un istante in cui ti ho perduto. Simultaneo ritorno. Tempestivo ritrovarti in un attimo in cui il cielo poi è esploso. Di colori. Nel sogno. Di notte. Dipinto in un quadro di gloria sono morto così. Chiudendo gli occhi. Nell’incanto del saperti mio. Ancora mio. Dormire. Morire. Svenire. Perché tu sei parte integrante di un tutto che adesso completa. Eppure il suo opposto. La parte più vacua di un nulla che adesso mi svuota. Eppure il suo opposto. Son d’aria i frammenti di luce che ingoio pensando al tuo nome. Su labbra. Reciso. Ti ascolto. Di gioia ti vivo. Lo hai scritto. L’ho detto. Ti ascolto vibrare nel timpano. Mi trasformo in un altro e ci spio. Divento verbo. Parola. Aggettivo. Mi sciolgo. E a te mi annodo.

Non ho più paura.

Eppure succede che cado. Collido. Mi perdo. Implodo.

Ho sentito uno strappo fortissimo. Accade nelle distanze più immense. Quando non c’è traccia di te. Tornando a casa tenevo le mani sul viso. Erano intrise di un profumo nuovo. Che non era il tuo. Poi ho fatto di tutto per non pensarci. Ho costruito la bugia più grande da offrirmi. Per non dovermi poi interrogare sull’assenza del minimo senso di colpa. Non sentire il vuoto. Non vedermi crollare sul volto quel mito che avevo di me. Poi al risveglio ce l’avevo ancora addosso. Ho scoperto di esser fatto di carne. Di avere un cuore che batte. Una pelle che freme, che chiede altra pelle. Mi mancava il contatto di un corpo. Il calore. L’odore. Il sapore. La pelle. E poi ancora. La carne. Quel collo. Sfiorarlo e sentirlo. Diverso. Presente. Guardarlo e volerlo. Toccarlo e sentirlo. Respirarlo e anelarlo. Comprimergli le vene e sentirci la vita pulsare dentro. Rimpiazzo di un’ora di niente. Caderci e affondarci. Annegarci. Scoprire l’errore. Volerlo. Evitarlo. Ignorare il peccato. Sentirmi di carne. E non questo niente. Che lotta per tutto. Che non ricorda più niente. Che non sia sporco d’amore. Bisogno di esserci. Sentirmi presente. Smettere di abbandonarmi. Per un istante. Uccidere il niente. In attesa di un sempre. Di un continuo confondersi. C’ero tutto e non parte. Era strano ma vero. Ritrovarci poi dopo al di la di quel cielo. La tua voce di nuovo. Un abisso lontano. Fare finta di niente. Esaltare l’amore. Proclamarlo più immenso. Ho cercato di dirti? Ho cercato il tuo aiuto. Ti avrei detto ho sbagliato. Ti avrei detto poi salvami. Ti avrei detto ritrovami. Ti avrei pregato di farlo. Avrei pianto di colpo. Non hai sentito niente. C’è che i tempi si stringono. Ed i cerchi si chiudono. Ed ho solo paura. Di non essere in grado. Di scoprirti diverso. Di aver fatto un casino. Credo dovresti capirlo. Magari rassicurarmi. Dovremo farci poi i conti. Con queste nostre mancanze. Con queste debolezze. Non è facile diventare perfetti. Forse ho poco da insegnarti. Ma vorrei tanto sapere se tu hai l’abilità di scoprirlo. Che in questo cuore c’è tutto. Che non ci manca niente. Forse un po’ di fiducia. Mi riscopro di carne. Una strana paura. Che non riesco a spiegarti. Ti aspetto qui per ritrovarci. Non ho nient’altro da dirti. E se adesso mi osservo. Vedo un cielo colpevole di pioggia. Una pioggia che ho dentro.

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