Quello che sono ha il mio nome.

Mese: Giugno 2006

[In Bianco e Nero]

Lo so che i tuoi sogni erano rosa.

Se c’è una cosa che amo è leggere la speranza nei tuoi occhi.

Se c’è una cosa che amo. E’ regalarti sorrisi.

Ma non sono mai stato bravo a donarne. Non a te.

Anche i miei sogni erano rosa lo sai?

Volevo solo la semplicità. La possibilità. Avrei voluto una famiglia che si fosse occupata meno del lavoro e di più di noi. Meno della salute del corpo e di più di quella dell’anima. Avrei voluto poter fare una sola volta nella vita una vacanza insieme in qualche parte sperduta del mondo, magari neanche troppo lontano. Solo per poterci poi immortalare felici e spensierati in una foto da custodire in un album di famiglia. L’album che non abbiamo mai avuto. Mai iniziato. Mai finito. Abbiamo solo foto sbiadite, sparpagliate qua e la’ e poi riunite confusamente. Foto scattate di casa in casa. Mai nella stessa. Mai con le stesse persone. Mai con un vero sorriso. Mamma. Non lo avresti voluto anche tu?

Notte amore. Ti voglio bene. Baci.

Ma non sei stanca di volermi bene? Ma non lo vedi quanto sono cattivo? Un angelo senz’amore. Il tuo angelo nero.

Avrei voluto tanto gridartelo in faccia quel “ti voglio bene”. Almeno una volta.

Ma non ci sono mai riuscito.

Ogni notte chiudo gli occhi pensando, che domani le farò una sorpresa. Domani la abbraccerò stretta e le dirò quanto le voglio bene. In ognuno di quei domani poi, sono io a sorprendermi. Del coraggio che non ho. Dell’angelo bastardo che sono.

Eppure ti amo. Tanto anche. E forte.

Non sono le offese che uccidono. Sono le parole non dette. Non sono le lotte. Sono i silenzi. Eppure quel muro è crollato, molto tempo fa. Eppure mi hai accettato. Per quello che sono. Per tutto quello che sono stato. Per tutte le cose sbagliate e sporche che ho fatto. Eppure mi hai preferito così. Sbagliato, ma vero. Eppure non mi hai mai negato la tua benedizione. Nemmeno quando il treno mi portava via da casa. Nemmeno quando mi lasciavo immortalare nella carne e strappare via la pelle e la purezza, regalandola così come se fosse niente. E tu lo sapevi e mi hai amato così. Incoraggiandomi sempre. Per qualunque causa, in qualsiasi luogo del mondo io mi trovassi. Io che non ho saputo mai star fermo. Io che non ho saputo mai recitare una parte diversa da quella dell’Angelo sguaiato e maldestro. Eppure sei tu che mi hai insegnato quanto un rapporto può diventare meraviglioso, se lo si vuole in due.

Me lo hai insegnato tu. Che un miracolo a volte è possibile. Tu ed io, con i nostri sacchetti di plastica e un motorino, siamo sempre riusciti ad evadere in luoghi migliori. Quante volte. Siamo scappati via insieme. Tu ed io. Siamo riusciti a trasformare le numerose tragedie in possibilità. In cambiamento. Io me lo ricordo ancora sai? Quando mi tenevo stretto a te su quel motorino. Con la speranza bambina che quella strada e quelle buche ci avrebbero portato in un posto migliore. Io mi fidavo di te. E solo di te. Mamma.

E non mi credere quando ti dico che è colpa tua. La colpa non è di nessuno. Strappami la maschera dell’egoismo ed uccidimi. A qualcuno devo darla la colpa, per la vita che non ho voluto. Per le cose che non abbiamo mai avuto. Strappami la maschera dell’egoismo ed uccidimi. Se lo faccio ancora.

Abbracciati a me ora e dammi l’anima. Vorrei poterla guarire. Almeno quella.

Quando me ne sono andato da casa, ogni sera mi trovavo da solo nel letto e piangevo. Ma non te l’ho mai detto. Non potevo pensare a te. Non potevo pensarti. Eri un pensiero da evitare. Perché ogni volta che mi venivi in mente mi mancavi così tanto che scoppiavo in lacrime.

Molte cose non ti ho mai detto. Ma avrei tanto voluto farlo.

Ora piango per le parole mai dette. Per i gesti mai fatti al momento opportuno. Per i sorrisi che non ti ho regalato. Avrei voluto donarti molte cose. Una laurea, un nipote. Avrei voluto darti un figlio normale. Avrei voluto sorprenderti diventando un mago, uno scienziato, un pagliaccio, un cantante, un astronauta. O semplicemente un impiegato capace di alzarsi ogni mattina alle sette e lavorare nove ore al giorno. Ma non mi è stato possibile. Perché di tutte le possibilità è uscito l’errore. Un piccolo essere dotato di poca resistenza fisica e di troppo dolore. Un angelo sbagliato. Mamma.

E’ triste ritrovarsi grandi senza essere cresciuti.

Io restavo zitto al fianco. Quando mamma stava male. E sembrava Pulcinella. Dentro al pigiama bianco… Te la ricordi quella canzone? Tuttora non la posso ascoltare. E’ dolore allo stato puro gettato su pelle scarnificata. Perché io ti stavo zitto al fianco, quando stavi male. Quando sembravi Pulcinella. Fra silenzi d’ospedale. Dentro al pigiama bianco. Mamma.

Abbracciati a me ora e dammi l’anima. Vorrei poterla guarire. Almeno quella.

Io e te siamo andati contro ad ogni regola. Abbiamo reso possibile un rapporto speciale. Io ti ho insegnato che si può amare lo stesso, non importa chi, se uomo o se donna. Tu in cambio mi hai insegnato il vero amore. Quello che hai sempre provato per me. Ora abbracciami. Insieme ce la possiamo fare. Di nuovo, da capo. A rendere possibile un miracolo. Possiamo ancora stupire il mondo. Possiamo ancora sentirci speciali. E riderci su, come un tempo. Mamma.

Abbracciati a me ora e dammi l’anima. Vorrei poterla guarire. Almeno quella.

Te lo ricordi quando quel giorno piangevo disperato perché volevano iniettarti nel braccio quella polvere bianca, e tutti cercavano di convincermi che era medicina, ma io non ci credevo. Avevo solo pochi anni di vita. Eppure percepivo già il male. Mamma non lo fare. Mamma non lo fare. Mamma non lo fare. E poi dopo ero solo in quella macchina, ero sveglio, e vi guardai morire. E poi obbediente aspettai seduto sul sedile posteriore. Aspettai il tuo ritorno. Guardavo siringhe. E lacci emostatici. Aspettai il tuo ritorno.

Aspettai il to ritorno.

Aspettai il tuo ritorno.

Aspettai il tuo ritorno come si aspetta un Natale.

Lo so che è stato solo un errore. Non ci sono colpe. Strappami la maschera dell’egoismo ed uccidimi. Se lo faccio ancora.

Abbracciati a me ora e dammi l’anima. Vorrei poterla guarire. Almeno quella.

Ho ancora un disperato bisogno di te. Abbracciami ora e dammi il cuore. Lo renderò più leggero e guarirò ogni ferita. Abbracciami ora e dammi la mano. Scappiamo via insieme su un motorino. Come un tempo. Con dei sacchetti di plastica con dentro i vestiti, e qualche spicciolo in tasca. Possiamo farlo ancora lo sai. Abbracciami ora e dammi l’anima. Ti guarirò da ogni malattia. Abbracciami ora e sorridi. Possiamo scattarci una foto e cominciare quell’album. Quello che non abbiamo mai avuto. Rivoglio la tua faccia di un tempo. Quella faccia di bambola che tu sai. Rivoglio i tuoi capelli lunghi. Abbracciami ora e guardami cambiare. Possiamo inventare un altro miracolo insieme lo sai. Insieme ce la possiamo fare. Abbracciami ora e dammi l’anima. Strapperò via ogni dolore. Riposati ora. Non parlare. Che all’anima ci penso io. Lascia che gli occhi ritrovino il dono di guardare oltre. Lascia che riposino.

Grazie Mamma

[Dal Ventre Della Notte]

Sono un angelo solo. Sono un angelo solo. Sono una Angelo che piange continuamente nell’aria che mi ha partorito una notte di luna falciata. Sono un Angelo solo. Sono un Angelo solo che canta, che canta nel vento la rabbia. Un Angelo solo che piange che piange nel vento la rabbia che ha dentro. Perché tutte le volte che ho provato ad unirmi in cori d’anime e volare per mano, son tornato in miseria piangendomi addosso. Riversandomi sulle piume la ruvida essenza di me. Piangendomi il cuore dagli occhi. Piangendolo come schegge di vetro sottili. Taglienti frammenti d’anima rigettata dall’abisso. Vomitata sulla carta. Piangendomi le mani dalla bocca per tornare a scrivere brandelli di cuore dilaniato sulla carta. Eccomi di nuovo com’ero. Come sempre sono sempre stato. Eccomi lavato dall’illusione pulito e terso sotto la luna falciata che mi rivuole esattamente com’ero. Eccomi di nuovo come ode alla notte che canto suonando una chitarra elettrica seduto sulla sua falce. Eccomi di nuovo figlio suo. Della notte che mi partorì nell’aria gemendo. Eccomi di nuovo a suonare sulla falce di luna che mi vide crescere ali nere squartando la pelle verticalmente sulla schiena. Dio quanto bruciavano. Dio, quanto bruciavano quelle ali nere spuntando fuori da sotto la pelle. Rieccomi bambino seduto sulla falce che mi vide alzare in piedi e inarcate le ali buttare giù in picchiata nel ventre della notte. Dalle labbra che mi partorirono in una notte d’estate accarezzata da lieve e inquieto vento. Mentre nell’aria graffiavano le chitarre distorte di Without you I’m Nothing squarciandomi l’anima io scendevo dal cielo cadendo in picchiata dal ventre della notte. Rieccomi qua. Non credo più a niente. Le uniche cose vere sono le ferite raccolte nei voli intrapresi nella disperata ricerca del nulla che da sempre inseguo. Credo solo in voi. Credo solo in noi. Credo solo in te. Cicatrici nell’anima che, ne’ spazio ne’ tempo guariranno mai. Senza ipocrisia te lo sputo così. Non sono niente. Solo bolla d’aria che è esplosa sulla bocca di una nota distorta. Solo l’eco di un canto che una notte d’estate mi ha dipinto angelo dalle ali strappate. Cadendo dal ventre così ti cercai. Ti cercai all’infinito fra le nubi che avvolgevano maestose la mia pelle ricoperta di piume. Con la mia penna in mano. A dipingere i miei pindarici voli fra le macerie del mio esistere, angelo disperso fra le macerie del paradiso che lo volle prigioniero. Angelo che pianse se stesso. Che piange, continuamente. Piange. Piange. Le grida, mai liberate. A te che più volte mi hai chiesto qual è il destino di un angelo te lo sputo così, violentemente. Il destino di un angelo è urlare all’infinito nel vuoto e ascoltarsi echeggiare lontano. Il destino di un angelo è amare. Il destino di un angelo è amare incondizionatamente. E’ versare lacrime al rovescio. E’ capire… capire la realtà anche dietro una bugia. SEMPRE. E non ammetterlo. Capire la realtà… anche dietro una bugia… anche quando una bugia sarebbe meno dolorosa, meno spietata, meno feroce… L’angelo è l’occhio della verità che vede sempre tutto e non dice mai “ma tu”… Ecco, vorrei essere uno qualunque solo per poter credere alle bugie e vivere una realtà ovattata, una qualsiasi. Vorrei essere questo. Solo questo. E’ ingoiarsi. In attesa di tornare nel ventre di quel cielo che un’estate lo partorì. Sulle note distorte di Without You I’m Nothing, mentre il vento soffiava leggero e inquieto sulla pelle di sua madre, la notte. Non mi è dato comprenderne il senso. Seguo solo il disegno del mio sentire. Quel sottile vibrare nell’anima fatto di soffici linee d’argento. Seguo l’eco della mia condanna. Sono l’angelo che rimpiange di non essere mai nato uomo. Sono l’Angelo che piange udendo la voce lontana di chi ancora si ostina a chiamarlo uomo. Anche questa è condanna. Sono un angelo solo. Lasciami stare qui ad affogarmi in un bicchiere di rosso. Non morirò lo sai. Non sarà il vento ad uccidermi. Non sarà un farmaco. Forse sarà la follia. Ho disciolto nel bicchiere gocce dolciastre che forse renderanno più amabile il cielo. Che forse renderanno più semplice il respiro. Bastasse davvero una piccola ampolla di vetro ambrato ad attutire l’assenza di me che respiro. Il vuoto di me. Il vuoto. Ho indossato due bracciali con borchie ed ho messo ali d’argento. Con eleganza stanotte mi sono dipinto così di un trucco nero e sfumato. Ucciderò così il tuo viso. Ucciderò così i tuoi Ti Amo. Versando lacrime. Versando lacrime inverse come è mio solito fare. Potessi essere lacrima ed asciugarmi. Potessi essere vento. Potessi essere albero. Potesse bastarmi del vino e del sesso per dimenticare. Non soffocherò le mie grida. Non smorzerò l’incandescenza di queste parole che tengo incise sulle pareti del cuore. No. Io continuerò a gridare come l’angelo che ho dentro ha sempre fatto. Io continuerò a piangere. E ti piangerò. Si, ti piangerò. Perché sono l’angelo che piange. Sono l’angelo solo che torna ad essere quello che era. Che la luna rivuole. Sono l’angelo che nacque dal ventre della notte che lo partorì nell’aria gemendo, in una notte d’estate in cui il vento soffiava leggero ed inquieto, mentre nell’aria graffiavano le chitarre distorte di Without You I’m Nothing. Quando caddi nel buio buttandomi a picco e un proiettile mi colpì in pieno petto. Mi colpì in pieno petto lasciandomi precipitare cadevo sanguinando lacrime dalle ferite sottili che penetravano la cassa toracica. Mi svegliai in quest’inferno di macerie. Incontrando ovunque uomini che professavano di essere come me ma erano soltanto umani. Senza colpa quindi, in quanto umani. Quanti falsi angeli ho incontrato. Fotocopie fasulle di me. Mi porgevano la mano dicendomi riportiamoci in volo e poi diventavano aria e svanivano. Mi libravo in piccoli voli costretto sempre e comunque a riposarmi a terra sulle macerie dell’inferno nel quale mi hanno intrappolato. Percorrevo infinite vie verso la distruzione che mi riportavano sempre all’inizio del percorso originariamente intrapreso. Volevo smettere di volare. Volevo smettere. Ma sono un angelo solo. Sono un angelo che piange. Partorito dalle labbra di un cielo in una notte d’estate. Col vento che soffiava leggero ed inquieto. Con le chitarre elettriche distorte di quella canzone che suonando graffiavano l’aria. Mi graffiavano l’anima di vetro. La verità te la sputo così. Sulla carta. Piangendomi il cuore dagli occhi come sottili frammenti di vetro che graffiano. Vomitandomi le mani dalla bocca per tornare a scriverti la realtà che neanche a me è dato sapere. Seguo solo il disegno che ho dentro. Quel disegno che io chiamo sentire. Quel sottile vibrare nell’anima fatto di soffici linee d’argento. Seguo l’eco della mia condanna. Anche questa è condanna. Quel sentire che io chiamo vivere.

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