Raccontarci non sarebbe abbastanza. Siamo due pianeti sospesi nel tempo, in assenza di gravità. Dovrei raccontare del fiato che ogni volta trattengo aspettando il mio treno, dovrei raccontare ogni strappo, ogni volta che ti allontani, ogni volta che vado via. Dovrei dire di ogni volta che la tua sveglia suona, alle cinque del mattino, e io dal tuo letto ti guardo mentre ti vesti, la dolcezza di quando mi rimbocchi le coperte, e poi ti dico “resta qui” e tu mi rispondi sorridendo, “non si può”. Dovrei raccontare di quanto mi piace guardarti, catturare i tuoi gesti, scolpirmeli dentro. Dovrei raccontare di come da quando ci siamo conosciuti la nostra esistenza si sia ridimensionata e allargata, e di quanto questo percorso intrapreso ci abbia fatti crescere, e in noi abbia infuso nuova energia per cambiare. Dovrei raccontare di quanto la tua presenza mi faccia sentire a casa, e sentire ogni volta che è con te la mia vita, e non altrove. E dovrei parlare di quanto mi uccide saperti afflitto, provato e stanco, dalla vita che per te ha scelto. E di quanto vorrei prendermi addosso il peso delle tue giornate, solo per darti sollievo. E di quanto sia importante regalarti una risata, strapparti un sorriso spontaneo e sincero. E di quanto mi sento bene quando ci riesco. Spero che presto non ci siano più treni da prendere al volo, non più corse a perdifiato, ma solo una continua partenza, senza nessun arrivo.

Perché arrivare è fermarsi. E io voglio che sia un viaggio continuo.

Io voglio non dover mai dire di essere arrivato.