Mi sento strano. Quante volte l’ho detto. Vorrei scappare. Quante volte l’ho fatto. Dove? Oltremare. Oltremodo lontano. Dove nulla mi possa raggiungere. La calma del vento. Null’altro. Non questo vacuo lamento. Non io. Non i soliti sguardi di sempre. Non tu. Non qualcosa che ci rappresenti. Lo so. Non è vero. Solo vacuo lamento. Niente. E allora? A volte continui a scorrere dentro. Come sangue. Riciclandoti continuamente. Averti dentro è sentirmi. Mi proietto in avanti. Oltre il tempo. Non c’è posto dove tu non sarai. Eppure. Come cambia il tuo viso. Come perde colore. Com’è vuoto il tuo nome. Senza suono il tuo nome. Quando perdi di vista l’errore. Quando vuoi la ragione. Quando spingi all’esterno gli artigli del cuore. Fino a farti del male. Nella rabbia il terrore. Una farsa già vista. Il tuo assurdo teatrino. Il sipario. La gente. Il tuo solito show. Un inchino. Due centesimi dentro al cappello. Vorrei andarmene in punta di piedi. Senza farmi vedere. Sparire. Diventare invisibile. Poi tornarti a cercare. Oggi la pioggia mi ha colto improvviso. Infiltrandosi fra i miei capelli. Gocciava sul viso. Oggi per la prima volta ho sentito. Che non eri fondamentale. Che potevo anche farne a meno. Di un pensiero così ingombrante. Abituato a non lasciarmi spazio. A impedirmi di respirare. Che c’era altro oltre quel precipizio. E io dovevo solo saltare. Riabbracciare quel cielo. Tutti i sogni lasciati a metà. Incastrati tra favole e abissi. Sedermi sull’erba. Rievocare la calma del vento. Null’altro. Non questo vacuo lamento. Non io. Non i soliti sguardi di sempre. Non tu. Non qualcosa che ci rappresenti. Incastrati tra favole e abissi, rievochiamo la calma del vento.