L’ultima volta che ho scopato ho pianto. Non l’ho mai detto a nessuno. Fanculo cazzo. È stato quando sono venuto. Sono scoppiato in singhiozzi incontrollabili e versavo lacrime dagli occhi come un bambino tradito. Dev’essere stata l’intensità dell’orgasmo. La completezza del tutto. Il risvegliarsi improvviso di un’energia straordinaria e fantastica. E la coincidenza con un attimo di debolezza. Inutile starci a pensare. Ambien. Rimedi pratici alla mancanza di sonno. Un sonno senza sogni. Un sogno senza sonno. Mischio benzodiazepine e loro antagonisti come latte col miele. Inibitori della ricaptazione della serotonina tra le sinapsi di un corpo di pura emozione sedata. E poi spari di chimica direttamente nel cranio. Dosando il tutto con cura e attenzione. Senza commettere errori. Rimedi pratici all’inquietudine. All’ansia di vivere. Sempre. Tutto. Come se fosse la fine. Come se il pendolo di un gigantesco orologio stesse per battere il suo ultimo rintocco direttamente sopra la testa, schiacciandoci. Mi alleno costantemente a lasciar scivolare gli scombinati flussi di quel maledetto intruso denominato pensiero. Un vortice senza controllo. Una centrifuga senza fine.
Lasciare che fluiscano. A volte affondo nella presunzione di aver acquisito l’abilità di riuscire a gestirli con tanta arcana maestria. Gabbie ottagonali. Ne ho viva memoria. Ne rivivo le sbarre taglienti di quando ci sbatti la faccia in sadici tentativi di uscirne fuori. Anche l’acciaio si spezza. Al contrario di quanto si creda. Il segreto è diventare un acido potentissimo e mantenere alta la reazione esotermica, per qualche momento. La lotta è sempre la stessa, quella di noi contro il tempo, che nel mio credo non esiste. Allora perché continuo a contarlo sulla punta delle dita in attesa del mattino? Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Rintocchi di campane. Funerali in piena notte. Puoi scorgerne il corteo fra le ombre della mente. Spari col silenziatore. Acrobatiche silhouettes di cadaveri danzanti nello spazio sovrastante. Forse dovrei unirmi al brusio delle voci. Lanciarmi nello slalom delle vetrine di luci. Sorridere a qualcuno che mi urta la spalla. Non so. Mi troverei a camminare in una realtà parallela. A metà strada tra l’onirico e l’incubo. Tra il ridicolo e il magico. Mi sentirei spiato da forze aliene. Dannata chimica. Mi fotte sempre.
Vorrei fossi tu la mia chimica. Una miscela finissima. Inalazione d’ossigeno. Esalazione d’euforica tossicità contenuta. La piena forza di un lisergico acido in circolo in queste vene di rabbia completamente sedata. La via d’uscita. In questa mente assediata. Vorrei fossi tu la mia chimica. L’energia liquida di queste mani prive di moto e di fisica. Radiosa e vibrante emozione di questo volto, privo di toni e di plastica.
Ore zero e zero zero. In questo niente assoluto. Dove organizzo i miei virtuosi deliri, ordinati e connessi. Un torreggiante zero sospeso nel nulla. Da trafiggere di spilli. Come fosse un gigantesco palloncino galleggiante nel ciclico riflusso di un’aria ormai tossica.
E la penna diventa tagliente. Le parole sopra la pelle. L’inchiostro che ci metto dentro. Scinde molecole. Scompone logiche. Dirige orchestre fantasma, arbitra squadre di spettri.
Scivolando su stele di grano il pensiero si desta col vento. Se fosse niente. Se ciò che aspetti da me fosse davvero importante. Non aspettarti niente. Solo coinvolgerci in piccoli vortici improvvisati e diretti in maniera orchestrale, dai suoni orchestrosi del leggero trasporto che ora fascinati subiamo. Scrivere. Violenza. Uno stupro auto-inflitto. Rivedersi poi nudi solo carne su carne. Solo pelle su pelle. Solo fiato su fiato. Solo cuore su cuore. Solo membra su membra. Solo occhi su occhi. Solo arti su arti. Quello che resta. Questo buio che sveste. Questa pelle che macchia. Quest’inchiostro che pulsa, come sangue ancor caldo. Goccia a goccia. Questo grido che implode. Troppo forte. Troppo intenso. Troppo audace. Non avere paura. L’espressione è speranza. L’emozione è tremore. Il tremore è la vita. Vibrazione, nella paralisi dell’esistenza.
Riposa il tuo cuore bambino e nascondi la pelle lontano da queste mani prive di tatto. Non aspettarti niente. L’amore non è qualcosa che meriti. È qualcosa che hai, oppure no. E se fossimo seme sbocceremmo in germogli per poi crescere piante ed esplodere in fiore. Ma siamo solo aria già satura che ruba i colori di un mare lontano che non ne aveva mai visti. Nell’ingordo e accalorato impeto di stendere un passo più avanti dell’altro. Nel fuoco bruciamo.
Se dio scopasse col diavolo sarebbe un incesto. Una gloria mai svelata e da sempre bramata. La nostra è da sempre una natura feticcia.
L’amore è un albero senza radici. Fibra di vetro finissima. Averti oltre e attraverso questa corteccia di fibra sintetica. Oltre. Questa scissione. Oltre. Il discioglimento e la sintesi. L’amore è quel punto senza nessuna reazione. Una molecola immobile in un’implosione di chimica.
.Oltre non resta niente.
Al tuo ritorno sarò talmente lontano da non poterti raggiungere.