Quello che sono ha il mio nome.

Mese: Settembre 2012

[black-out]

C’è un pensiero, ora, nella mia testa, alle ore una e ventinove minuti del diciassette settembre duemiladodici.

A volte la paura mi schiaccia fino a star male. Coi pensieri scolpisco giganteschi macigni che alla fine mi crollano addosso.

Il terrore che certi schemi si possano ripetere si trasforma in qualcosa che ha il potere di paralizzarmi. Un giocattolo rotto. Una crepa sul muro. Una bolla che è esplosa.

Eppure

Ci sono quelle volte in cui arriva all’improvviso e mi abbraccia da dietro mentre faccio le cose di sempre e io mi immobilizzo. E sento in questo così tanta emozione che devo respingerlo, ne sono costretto. Perché il suo contatto è un black-out che non mi permette di concentrarmi su quello che sto facendo. Ed è come se tutto svanisse.

E poi penso a quanto è bello condividere un percorso con qualcuno che, qualunque cosa tu proponga di fare non ti dice mai di no. Che non vive dentro al recintino degli schemi mentali, ma è orientato verso la grandezza. Che riesce a vedere l’immenso nel mare, a godere del giorno di sole, e di quello di pioggia. Che s’interessa di quello che fai ed è pronto a seguirti ovunque tu voglia andare. Con le sue debolezze, i suoi punti di forza, i suoi sogni e le sue aspettative.

Poi però la paura ritorna. Come curarla?

[Evoluzioni]

Ogni cosa cambia. Cambiano i nostri pensieri, nel giro dei cinque minuti. Cambia il colore delle foglie appese agli alberi. Eccetera.

Su larga scala anche i rapporti cambiano. A volte si accendono, a volte si spengono. La stabilità è qualcosa destinata a non durare nel tempo. Ne scrivo sorridendo.

Io penso che il mio rapporto sia cambiato. Dire in meglio è relativo, perché inevitabilmente tutto si traduce in necessità e ci sono alcuni parametri da valutare. Il mio meglio potrebbe non essere il meglio di chi è coinvolto con me, semplicemente perché magari le sue necessità sono altre, o hanno tempi diversi. Solitamente incontro persone che partono in quarta, e poi rallentano di colpo bruciando tutto. Io sono quello che invece parte a rilento, che ci mette una vita ad aprirsi e a fidarsi. Il bisogno è diverso. Non mi sento più il ragazzino ai primi appuntamenti, quando basta vedersi tra un weekend e l’altro. Ora i miei sentimenti sono divenuti più consapevoli e di conseguenza le mie necessità. Mano a mano che le nostre storie s’intrecciano si è fatto più forte il bisogno, il desiderio di far parte della sua vita e di volerlo costante nella mia. Una naturale evoluzione del rapporto. Io penso che lo stare insieme sia questo. Partire, procedere cercando più che possibile di stare al passo, ogni tanto aggiornarci sui progressi fatti, fermarsi ad aspettare se l’altro si è perso qualche passo, e viceversa. E’ successo che tempo fa mi sono voltato e lui era finito in un burrone, l’avevo dato ormai per disperso, ma è riuscito a risalire per tempo, prima che io me ne andassi. Succede anche questo. Ci si perdonano sbagli, a volte ci si prende a pugni, si piange, si urla, si scrivono lettere. Poi ci si mette la vita, la vita del cazzo. Riversandoci addosso tutta la sua pesantezza, la sua cruda incertezza. Le settimane infinite, il lavoro, i turni, i soldi che mancano, le giornate che non passano mai, la pioggia e i treni in ritardo, gli scioperi del cazzo. La stanchezza. Vi ritrovate in due città divise a pensarvi uniti. Di fatto, lo siete. Novantasette chilometri non sono niente. Vi consolate pensando che la prossima volta sarà più intenso. Però cazzo, ti manca. Ritorna la vita con la sua incertezza. Aspetti. Vivi aspettando il weekend-salvezza. Il suo abbraccio. E dire insieme vaffanculo a questa vita del cazzo.

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