Mi manca la semplicità di quando le stelle riuscivamo a sentirle direttamente sopra la testa, e non erano solo spilli infilati in quella coltre abissale di buio pesto.
Mi manca anche un po’ la tua mano. Allora si che le stelle erano vicine. Sembrava di averle sotto ai piedi. Di starci seduti sopra. A osservare il mondo lontano. La notte era di un blu fantastico. Si respirava sottile quiete. Una città prima dell’incendio. O riaccesa dopo un black out.
Ora siamo due giocattoli rotti. Appesi al filo della speranza. E lasciati ad asciugare.
Ti prego ora abbracciami e dimmi che le stelle ci sono ancora.
Qui.
Sopra di noi.
(“Vorrei mi cullassi quasi fossi un infante. Un giocattolo inerme.
Un incendio dei boschi. C’è un silenzio fortissimo.
Dimmi solo che è un attimo. Dimmi ancora che adesso ritornano.
Albe intense e magnifiche. Fiori colti da spasmi.
Stanze sole e pienissime. Stammi dentro.
Vieni dentro e poi stringimi. Nell’immenso rimani.”)
Isabella Santacroce.