Le campane han suonato due volte e l’ho appena lasciato. Mi ha donato parole sottili che nei sogni cercherò di portare. Penso a quanto tutto il resto mi sia indifferente. Quelle stupide fisse che avevo in passati lontani. Sempre quella paura. Sempre quel soffocare. Sempre quella mania di controllo. Di arrivare. Ora riesco a lasciarmi un po’ andare. A permettermi un leggero ritardo. I capelli arruffati. La barba non fatta. A concedermi tregue. Respiri. A volermi più bene. A concedermi spazi che prima qualcun altro invadeva. Ora riesco a sentirmi più vivo. A non sentire del tutto il suo doppio. Quell’amplificazione continua a distorcere il tempo. A spaccarmi le orecchie e ogni senso. Tutto mi appare leggero. Le sue mani mi scorrono addosso senza che io ne debba per forza morire. E pur morendone riesco a sentire lo spazio che riempio. La terra mi tiene. Il sangue mi spinge. il respiro mi segue. Cammino a due metri da terra. Sorrido a chi ancora col dito mi ammicca. E’ così che ho lasciato liberi gli altri di percorrere la loro strada, e mi sono concesso la libertà di percorrere la mia.
Ventisettesimo giorno del quinto mese dell’anno duemilaundici.